BCC Credito Cooperativo
17/08/2012
Povertà ed esclusione sociale: fenomeni in crescita
Don Andrea Regina, responsabile Ufficio Macroprogetti di Caritas, racconta gli “esclusi”, ovvero coloro che, socialmente o finanziariamente, rischiano di restare ai margini della nostra società. In primis le categorie più deboli: i giovani, gli anziani, le donne e i migranti. L’intervista a don  Andrea Regina è pubblicata nel libro di  Bruno Cassola, Esclusi! Dialoghi sulla crisi, sull’esclusione sociale e finanziaria e su come contrastarle, edito da Ecra.  
Don Andrea, i dati statistici disegnano un quadro decisamente preoccupante riguardo l’impoverimento della popolazione; l’Italia è tra i paesi ricchi del mondo, eppure assistiamo alla perdita generalizzata di sicurezza e di lavoro, all’emergenza che colpisce un numero sempre maggiore di poveri e di impoveriti. A suo giudizio, quali sono gli effetti della crisi sulla vita delle persone?
La crisi ha determinato gravi forme di fragilità e vulnerabilità: nelle famiglie non ha comportato solo un accrescimento della povertà economica, relativa o assoluta che sia, ma anche lo svilupparsi di una povertà di capacità, di accesso. Incontriamo spesso persone che hanno difficoltà a far fronte alle spese vitali, a quelle per la cura dei malati o per la formazione per i figli. Il lavoro è l’elemento essenziale con il quale ci misuriamo ogni giorno, il reddito che ne deriva è lo strumento attraverso cui un cittadino risponde ai bisogni propri e della famiglia. La perdita del lavoro è l’elemento che scatena con sé una serie di conseguenze negative, sia in termini di impoverimento della famiglia
(che su quel reddito contava), sia in termini di esclusione dalle relazioni e reti sociali.
 
Cosa pensa del microcredito che si sta configurando con le recenti modifiche apportate al Testo Unico Bancario e, in generale, dei nuovi attori che si affacciano sul mercato con un approccio tendenzialmente for profit?
Vedo con favore l’aumento delle opportunità di accesso al credito per i cosiddetti soggetti “non bancabili” in un contesto, però, dove le condizioni applicate sono svincolate dal rischio sottostante. Se, cioè, i tassi di interesse applicati rimangono bassi esono inclusivi. In caso contrario, sarei molto preoccupato perché significherebbe considerare i “non bancabili” clienti come gli altri e non dei soggetti in difficoltà da supportare con ogni mezzo. Il nuovo Testo Unico Bancario pone quindi delle opportunità, ma anche dei rischi che vanno considerati e limitati.
 
Ritiene che gli strumenti di inclusione finanziaria come il microcredito debbano essere in qualche modo sovvenzionati dallo Stato o da fondi privati?
Nell’attuale contesto di crisi penso che qualunque fondo privato, come ad esempio il fondo della Cei, vada visto con favore perché aiuta a migliorare l’accesso al credito. In generale, penso che debba essere lo Stato a garantire ai propri cittadini il diritto al credito perché, anche attraverso il credito, una persona si sente parte integrante di una comunità. Sono i fondi pubblici di garanzia lo strumento primario per combattere l’esclusione finanziaria e per stimolare l’ingresso di nuovi operatori che agiscano in una logica non puramente for profit. Manca purtroppo una visione d’insieme e un indirizzo comune, ma registro con favore le iniziative di alcune regioni italiane, che hanno stanziato delle risorse in tal senso.
 
Per chiudere, quale proposta concreta per stimolare politiche più incisive di inclusione sociale e finanziaria?
L’impegno maggiore dovrebbe essere nel cambiare la cultura della solidarietà: non bisogna dare per
carità ciò che è richiesto per giustizia. In questa ottica il microcredito – sia socio-assistenziale sia per lo sviluppo di iniziative imprenditoriali – dovrebbe essere liberato dai condizionamenti della cultura del profitto e, assieme ad altri strumenti, potrebbe contribuire a combattere efficacemente la povertà. Occorre arrivare, cioè, ad un contesto normativo dove il cittadino abbia la possibilità di far valere per davvero i suoi diritti, compreso il diritto al credito. Le Banche di Credito Cooperativo possono fare molto, recuperando fino in fondo lo spirito con cui nacquero le Casse Rurali, il senso dell’essere socio e dell’appartenenza ad una comunità locale fatta di persone.
Cambiamo le regole del gioco economico e finanziario, modifichiamo certi meccanismi orientati
sempre e comunque alla massimizzazione del profitto. È il momento di cambiare.